In una società globalizzata come la nostra, in cui emergono nuove civiltà con diverse strutture politiche e modelli culturali, il mondo sindacale ha il dovere morale di spostare la difesa dei diritti dei lavoratori a un livello più alto, costituendo organismi sovranazionali capaci di diffondere la cultura del lavoro. Questo significa difendere il nostro passato per farne un baluardo di speranza per il futuro. Non si può più tollerare che i lavoratori siano sfruttati in Cina o in altri Paesi, che polarizzano la ricchezza nelle mani di pochi lasciando nella miseria e nel precariato i più. Assistere inerti allo sfruttamento del lavoratore, in qualunque parte del mondo questo avvenga, indebolisce automaticamente i diritti dei nostri lavoratori esposti all’attacco del mercato soggetto solo alle regole della concorrenza e della produttività, senza riguardo alcuno per le condizioni del personale.
Un esempio di questi effetti disastrosi della globalizzazione è la catena di discount Lidl, che ha avuto successo in tutta Europa sfruttando gli impiegati costretti a lavorare, inizialmente fino a 45 ore a settimana, e poi, di mese in mese, fino a picchi di 16 ore giornaliere. È quanto è denunciato dal sindacato tedesco Ver.di nel Libro nero della Lidl Europa (Schwarz-Buch Lidl Europa) pubblicato nel giugno del 2006, che tratta delle pratiche di questa fantomatica impresa in Polonia e altri paesi europei. Quanto detto vale anche per la catena di grandi magazzini Kaufland, sempre di proprietà del gruppo imprenditoriale di Dieter Schwarz, proprietario dei discount Lidl.
Costi del personale contenuti, personale sottoposto ad orari di lavoro straordinari considerati però come ordinari e ostacoli alle rappresentanze sindacali: questo il modello che l’azienda dalla Germania intende esportare in tutta Europa. Ma neanche la Lidl può eludere le leggi nazionali sui diritti dei lavoratori. E così in Scandinavia l’azienda ha dovuto retrocedere davanti alle leggi sulle rappresentanze sindacali e alle condizioni lavorative, sfruttando, però, ogni lacuna legislativa per abbassare le tutele dei lavoratori. L’indagine del libro mostra come sia necessario lottare per uno standard comune dei diritti sociali.
Ci hanno insegnato che il lavoro è uno strumento per la realizzazione della persona umana, ma questa idea è destinata fatalmente ad infrangersi sulla dura roccia del capitalismo sfrenato che porta gli imprenditori a macinare sempre più ricchezze spesso ricorrendo ai licenziamenti di massa, al lavoro flessibile (che si traduce poi in un precariato permanente), alle forme più diverse di contratti a tutto svantaggio della dignità umana di chi presta il proprio lavoro, sempre più avvilito, umiliato e incapace di proiettarsi nel futuro.
Ci si sposa di meno, si hanno meno figli: questo è un attacco non solo ai lavoratori ma proprio alle fondamenta stesse della società civile. Come si può uscire da questo? Non c’è una medicina. Certamente per la difesa di questi diritti occorre progettare azioni combinate che coinvolgano più soggetti nazionali e non, allo scopo di diffondere quel senso di giustizia radicato nella nostra civiltà, madre del diritto nato proprio come strumento di pacificazione dei popoli e realizzazione del principio di equità. In verità esistono degli organismi sindacali a livello mondiale nati per difendere i diritti dei lavoratori, ma meriterebbero di svolgere un ruolo più incisivo e decisivo sul tessuto sociale internazionale con negoziazioni e contrattazioni valide erga omnes:
la International Trade Unions Confederation (ITUC) - Confederazione Internazionale dei Sindacati (CIS) – nata nel novembre 2006 dalla fusione della Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi (CISL Internazionale, in inglese ICFTU - International Confederation of Free Trade Unions) e della CML (Confederazione Mondiale del Lavoro, in francese CMT - Confédération Mondiale du Travail) – raggruppa 301 organizzazioni affiliate in 151 Paesi per un totale di 176 milioni di lavoratori;
la FSM - Federazione Sindacale Mondiale, con 80 milioni di iscritti in tutto il mondo e 200 organizzazioni associate, fondata a Parigi il 3 ottobre del 1945 e componente di diverse commissioni nell’ambito delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro, dell’UNESCO e della FAO;
le Federazioni Sindacali Globali, o Global Unions, organismi autonomi che rappresentano una sorta di “categorie professionali”, associate della CISL Internazionale.
la CES (Confederazione Europea dei Sindacati, sigla internazionale ETUC - European Trade Union Confederation) fondata nel 1973, che rappresenta 83 organizzazioni sindacali di 36 Paesi europei;
la CESI (Confédération Européenne des Syndicats Indépendants), creata il 27 aprile 1990, sempre a Bruxelles, che rappresenta una serie di sindacati autonomi;
l’Eurofedop, la Federazione Europea dei dipendenti nei servizi pubblici, legata alla Confederazione cristiana CML;
la Federazione Sindacale Europea dei Servizi Pubblici (FSESP, sigla inglese EPSU - European Federation of Public Service Unions) fondata a Vienna nel maggio del 1996 dalle categorie delle centrali sindacali che aderiscono alla CES.
Esiste anche una Conferenza Europea della Federazione Sindacale Mondiale, che quest’anno a ottobre ha affronta i temi della crisi economica mondiale, con le sue conseguenze sui lavoratori europei, nonché la creazione di una comune piattaforma per un’azione unitaria di risposta sia alla crisi che alle politiche dell’Unione Europea.
La strada è in salita e certamente non è facile dar vita a confederazioni sindacali così potenti a livello mondiale da costringere gli imprenditori e le economia a un’inversione di tendenza, che porti al centro il lavoratore con i suoi diritti ma questo è uno sforzo che vale la pena di compiere: ne va della sopravvivenza stessa del Sindacato.
di Pier Vincenzo Rosiello