lunedì 18 gennaio 2010

Rosarno terra di razzismo? Le violenze contro gli immigrati africani

Le recenti nuove di Rosarno sulle violenze contro gli immigrati suscitano voci appassionate da destra, da sinistra e anche dal mondo cattolico. Tutti sono ansiosi di commentare la notizia del giorno, come se il fenomeno dell’immigrazione fosse un fatto venuto improvvisamente a miracol mostrare. Rosarno non è l’emblema del razzismo italiano – ammesso che esista un razzismo italiano – ma semplicemente l’exemplum di come una cattiva gestione dei flussi migratori possa dare origine a forme di alienazione e di violenza. Non si può tollerare che gli immigrati siano considerati come merce di scambio o unicamente come forza lavoro. Bisogna ricordare che l’immigrato è un uomo, una persona con la sua dignità e che pertanto deve entrare con pari diritti nel nostro tessuto sociale e lavorativo. Ammettere lo sfruttamento di altri uomini, solo per il fatto che non siano cittadini italiani o peggio di sangue italiano – ammesso che esista il sangue italiano – sostenendo ipocritamente che abbiamo bisogno dei poveri immigrati per fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare – come si è sentito dire da più parti anche da coloro che si beano di un’integrazione indeterminata e senza confini – significa segnare una differenza di comodo nella ripartizione del lavoro. Da questo a negare agli extracomunitari, complice la persistenza di innumerevoli situazioni di irregolarità, gli stessi diritti di cui godono gli italiani il passo è breve. Sappiamo bene che ciò avviene già, se non per legge almeno di fatto con il cosiddetto lavoro in nero che ben si intona, tra l’altro, con il colore di alcuni extracomunitari. L’acuirsi di questo fenomeno alla lunga finisce con l’accentuare forme di alienazione e di violenza tra le classi meno agiate, le quali si vedono defraudate del lavoro perché si preferisce sfruttare l’immigrato piuttosto che pagare il candido italiano a meno che anche l’italiano proletario, opportunamente abbronzato sotto il sole, non si faccia sfruttare come l’immigrato. Ma di questo è meglio non parlare perché è scomodo dire la verità soprattutto quando cozza con gli interessi di talune classi abbienti che fondano il loro potere sull’altrui sfruttamento. Se poi spostiamo il discorso dal lavoro alla casa la situazione è simile. L’immigrato può vivere anche in pochi metri quadri insieme ad altre dieci o venti persone o in strutture fatiscenti nella più completa assenza di qualsiasi norma igienica e pagare una pigione complessiva di oltre settecento euro al mese. E mentre gli affitti salgono, forse per colpa della moneta unica o della crisi economica, gli italiani devono adeguarsi alla nuova moda in voga tra gli immigrati europei e non. Non si può accogliere persone senza garantire loro gli stessi diritti e doveri dei cittadini italiani: in primis l’accesso all’istruzione che consenta agli immigrati di conoscere la nostra lingua, la nostra storia e la nostra cultura (comprendendo il rispetto per il Cristianesimo che è ancora la religione più diffusa in Italia), in modo da consentire un’effettiva integrazione. Poi ci si stupisce che in queste condizioni gli immigrati diventino facile manovalanza per la criminalità e per la mafia, tutto questo è incredibilmente deludente. Se non si provvederà a monitorare i flussi migratori, prevedendo magari se il caso anche limiti e regole diversi dal semplice possesso o meno del contratto di lavoro (valido il più delle volte soltanto sulla carta) – un’idea potrebbe essere la verifica, mediante esame pubblico, del possesso di adeguati requisiti linguistici e culturali –, e a provvedere alla programmazione di forme di integrazione il rischio che la violenza legata ai fantasmi del razzismo dilaghi sarà sempre più forte; la mancata integrazione è origine di disordine e di violenza sociale che potrebbero anche esplodere come a Parigi in una rivolta degli stessi stranieri. Del resto la storia insegna che violenza chiama violenza, una spirale che si può sconfiggere solo svellendone profondamente le radici.

Pier Vincenzo Rosiello

A proposito di morale cristiana: lo scontro tra i direttori Feltri e Boffo

La nostra società, sempre meno civile, edonista, individualista e pettegola, in cui domina il relativismo etico e non solo, forse alla ricerca disperata di un’identità si barcamena tra il vero e il verosimile.


E’ questo il tempo dei cantastorie e dei fannulloni, degli ipocriti e degli imbroglioni, dei gaudiosi e dei beoni, dei ricchi e dei furbacchioni, delle prostitute e degli omosessuali, insomma dei baccanali.

La cultura è un’optional dei perditempo, la fede una moda superata, la ragione la causa principale della noia della vita, le regole esistono solo per gli altri e la scienza è l’origine di tutte le disgrazie.

La crisi economica dilaga, mentre quella morale ci ha letteralmente sommersi tant’è che non riusciamo più nemmeno a distinguere ciò che è bene da ciò che è male.

Vogliamo essere trasgressivi senza sapere più cosa trasgredire e pretendiamo di essere liberi senza sapere neppure più esprimere un giudizio.

Il mondo politico, non è estraneo a questo decadimento generale, e i media a volte, nel riportare i fatti acriticamente e staccati dal loro contesto originario, non fanno che peggiorare le cose, soffiando sulla cenere il vento della sfiducia e della disaffezione. Sembra incredibile ma addirittura rischia di precipitare in questo vortice anche il mondo cattolico, da sempre luogo di moderazione e di correttezza.

Sarebbe un errore uno scontro tra istituzioni civili (il Governo, in primis) e Vaticano. Sicuramente i vescovi devono poter esprimere la propria opinione indirizzando i cattolici ai valori del Vangelo di Cristo. D’altro canto lo Stato italiano, per ciò che concerne il governo politico del Paese, deve poter agire in piena autonomia.

Il rispetto è la condizione alla base di ogni convivenza civile, se manca è guerra.

Da qualche giorno è scoppiata la bufera tra Vittorio Feltri, direttore del quotidiano Il Giornale, e Dino Boffo, direttore del quotidiano cattolico Avvenire.

Feltri, a quanto sembra, indignato per i giudizi scritti da Boffo sulle pagine di Avvenire riguardanti alcuni episodi, tirati in ballo dai giornali (La Repubblica in testa), della vita privata del premier Silvio Berlusconi, ha lanciato un attacco a Dino Boffo, arrivando addirittura a parlare recentemente di un decreto penale di condanna da parte del Tribunale di Rieti in cui si accenna a molestie a sfondo anche sessuale, per evidenziare che nessuno è senza peccato e che Boffo avrebbe fatto male ha scagliare la pietra contro Silvio.

Certo su questo bisogna pur evidenziare che la conoscenza del bene non sempre coincide con la virtù, come voleva invece Socrate per il quale la causa del male era l’ignoranza del bene. Altrimenti non esisterebbe il peccato. E neppure la necessità del perdono. Se così non fosse non ci sarebbe stato bisogno dell’Incarnazione del Verbo di Dio per redimerci. Scrive il Sommo Dante nel suo Purgatorio: “State contenti umane genti al Quia che se possuto aveste veder tutto mestier non era parturir Maria”.

I cristiani, e quindi la Chiesa, hanno il sacro santo dovere di condannare il peccato e indicare la via del bene, questo però non significa che i cristiani non pecchino. Purtroppo il peccato esiste perché la natura umana è ancora soggetta al male e alla sofferenza e alla morte. A tal proposito scrive san Paolo apostolo, che la natura geme continuamente per le doglie del suo parto. Perciò non si può ridurre al silenzio i cristiani, perché predicano bene e razzolano male. La Chiesa è in cammino verso il Bene, verso Cristo. V’è una tensione continua del cristiano a fare il bene, anche se molte volte ci si accorge di fare il male (come dice sempre san Paolo). La comunità cristiana esiste appunto per aiutarsi con amore vicendevole, ma anche per ammonirsi a fare il bene e a tenersi lontani dal male.

Anche il Papa, oggi, ha detto che Dio condanna il peccato ma ha a cuore i peccatori. Gesù, in fondo, è venuto per i peccatori, non per i sani ma per i malati.

Facciamo umilmente esperienza dell’amore misericordioso di Dio e saremo degni di costruire una nuova umanità o come diceva Giuseppe Lazzati: “La città dell’uomo”. Ognuno di noi ha ricevuto da Dio la vocazione a costruire il mondo e di questo l’Altissimo ci chiederà conto. Sappiamo farlo con giustizia, onestà e capacità. Senza avere paura di prendere le distanze da ciò che è sbagliato e senza nascondere i nostri errori e le nostre debolezze. Abbiamo tanti esempi di santi che hanno fatto esperienza del peccato (sant’Agostino, san Francesco d’Assisi, la Maddalena) ma poi si sono convertiti e Dio, attraverso di loro, ha fatto beni molto più grandi dei peccati da loro commessi.

Pier Vincenzo Rosiello